22 Apr Office of cards e le start-up.
Guru, mentor o thought leader sono persone autentiche la cui credibilità deriva dalla padronanza di linguaggio e dal mindset.
In ambito digital queste menti brillanti quando si incontrano si riconoscono. Sono però anche animi gentili che ti pesano appena apri bocca e ti danno una chance se sentono che sei motivato da un interesse sincero ma sei solo all’inizio di un viaggio di formazione…
1° ascolto
Ascoltando Office of Cards, il podcast di Davide Cervellin, mi sono imbattuta nella puntata con ospite Alberto Giusti, imprenditore seriale con centinaia di soci nel mondo. Parlavano di start-up e financial angels con un glossario altamente tecnico e ad un ritmo che dava alla testa. Così criptici alle orecchie di un profano che per un attimo ho pensato stessero facendo una supercazzola!*
Mi sono chiesta: ma tutti questi inglesismi sono necessari? Con la mente sono tornata al ricordo di mio nonno (classe 1914) che diceva con eleganza “ad ogni modo” e non riuscivo a stabilire se il loro “by the way” fosse una barriera discriminatoria, un’espressione altezzosa, o motivo di fascinazione e attrazione.** Ho poi spostato il focus su di me che non capivo, e ho visualizzato che la mia frustrazione derivava da un mio limite. Limite che però avrei potuto colmare, ed è scattata la sfida!
2° ascolto
Ho deciso dunque di ascoltare la puntata – che per altro vi linko qui– una seconda volta. Meraviglia: ho iniziato a unire i puntini e a comprendere il quadro d’insieme. Man mano che mi sintonizzavo cresceva l’attrazione e scattava il desiderio di interfacciarmi con chi come loro ha una visione chiara del proprio business e di dove questi deve andare.
3° ascolto
Il terzo ascolto -della stessa puntata- mi è servito per andare ad approfondire cosa significassero termini gergali come “seed”, “gemmazione”, “HR ops” e inalzare il mio livello. A questo punto era scattata la voglia di parlare di start-up tra pari.
E’ possibile, partendo da zero, arricchire il proprio vocabolario e diventare esperti?
La riposta me l’ha data lo stesso Giusti quando ha raccontato che anche lui, da sempre attratto da nuovi sfide di business, si è imbattuto nel termine start-up e ha voluto diventarne un esperto: ha acquistato su Amazon tutti i libri che ne parlavano, all’epoca una decina, e li ha letti assieme a tutto il materiale che trovava online. A quel punto poteva dirsi di essere un esperto.
Come diventare esperti di start-up oggi?
Anche la risposta a questa domanda è giunta da Giusti e Cervellin: si trattava di mettere giù un piano di studio extra lavoro (loro parlano di main gig e side gig). Leggere i libri giusti, fare qualche corso -gratuito o dal piccolo prezzo-, ottenere delle certificazioni, offrire le competenze in work for equity presso una start-up esistente nella quale magari investire anche qualche soldo facendo esperienze e al tempo stesso un buon affare!
Rimettersi in gioco a una certa età, ne varrà la pena?
L’incoraggiamento e la motivazione mi sono arrivate dalle loro stesse parole «…tra un ventenne che nel CV ha un bollino “Politecnico di …” e un cinquantenne che, attraverso 50 certificazioni di competenze, dimostra che oltre all’esperienza ha anche la voglia di apprendere, prendo il secondo tutta la vita!»
Next step…
Il piano di crescita che ho in mente mi porterà, in 1 o 2 anni, a padroneggiare questo ambito e magari a diventare founder a mia volta!
Continua a seguirmi per sapere come andrà a finire…
* Per chi fosse nato dopo gli anni ’80, la “supercazzola” è un termine colloquiale italiano che è diventato famoso grazie al film comico italiano “Amici Miei” del 1975 con Ugo Tognazzi. Tipicamente la “supercazzola” è una frase o un discorso lungo e articolato che sembra avere un significato complesso ma in realtà è privo di senso o ha un significato del tutto irrilevante rispetto al contesto. Spesso viene utilizzata in contesti umoristici o per prendere in giro qualcuno, e può essere usata anche per confondere o eludere qualcuno con un linguaggio complicato o pomposo.
** Approfondendo altre puntate ho poi scoperto che lo stesso Davide Cervellin dice che produce il podcast per quel 20% di pubblico che lo stima, e ancora per il 70% che lo segue, consapevole che ci sta anche che il 10% non lo sopporti.